Habilitation: November 2002 |
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(49 MB) Riassunto italiano
(Traduzione di Barbara Brandt) Nel secolo XIV furono sviluppati in Italia metodi di contabilità
che ancora oggi costituiscono la base della ragioneria moderna. E se ciò già
di per sé rappresenta un motivo d'interesse per un medievalista, si aggiunge,
a dare ulteriore rilevanza al tema, la valutazione del sociologo Werner Sombart che il metodo
della partita doppia e la forma di economia capitalistica siano da
considerare come unità indivisibile. La ricerca storica, pertanto, si è
occupata intensamente dei libri contabili di epoca tardo-medievale giunti
fino a noi. In particolare Federigo Melis credete di individuare l’impiego della
partita doppia - il che, seguendo la tesi di Sombart,
significava individuare la presenza delle prime imprese
‘capitalistiche’ - in Toscana negli ultimi decenni del secolo
XIII. Basil Selig Yamey ha confutato questa tesi, dimostrando che anche
nelle grandi imprese commerciali italiane dei secoli XIV e XV il metodo
impiegato nel tenere i libri contabili era di importanza secondaria. Dato il
modo in cui la partita doppia veniva applicata ancora nel tardo medio evo, essa
non sembra aver superato in efficienza la partita semplice per quanto
riguarda la sua funzione di mettere a disposizione informazioni che
servissero da base per le decisioni imprenditoriali. Ne risulta che se da un
lato nel tardo medio evo in Italia furono sviluppate tecniche di contabilità
estremamente complesse e ancora oggi fondamentali, d’altro lato non si
può vedere l’impulso decisivo per lo sviluppo di queste tecniche
provenire dalle moderne funzioni dei libri contabili - per esempio
informazione veloce e affidabile sui profitti e le perdite - che non in
misura irrisoria. Ma allora: in che modo e per quali motivi, si giunse alle
forme più sofisticate di ragioneria? Dato lo stato delle ricerche sull’argomento, si è
ritenuto opportuno astenersi in un primo momento dal formulare complesse
presupposizioni sui probabili o reali incentivi che portarono allo sviluppo
delle tecniche contabili. In un primo passo i libri contabili vengono
considerati solo nella loro qualità di recipienti di raccolta di dati relativi
a transazioni d’affari, senza che si arrivi a formulare ipotesi sulle
possibili intenzioni legate al loro utilizzo. Se si sceglie questo tipo di
approccio alla questione si deve porre al centro dell’analisi il modo
in cui le informazioni venivano fissate per iscritto e trattate. Due sono le
premesse metodologiche fondamentali: 1)
L’indirizzo
particolare determinato dallo stato delle ricerche e dall’approccio
scelto impone di inserire le operazioni di scrittura di transazioni
d’affari in un contesto culturale più ampio. 2)
2)
L’approccio scelto, cioè la concentrazione sull’aspetto del
‘trattamento delle informazioni per mezzo della scrittura’,
raccomanda di intraprendere in una prima fase lo studio sincronico di questa
procedura sulla base, se possibile, di tutti i libri di una
compagnia commerciale. 1)
Per comprendere la struttura dei libri contabili è necessario illuminare il
contesto culturale in cui avvenne la compilazione di questi testi. In
generale si può partire dal presupposto che i mercanti italiani impegnati nel
commercio internazionale ed i loro impiegati grazie alla loro istruzione
scolastica sapessero quasi tutti leggere, scrivere e fare calcoli scritti già
nel secolo XIV. Come maneggiare i libri di conto non era, però, elemento dei curricula scolastici, ma materia d’insegnamento
pratico nelle botteghe delle singole compagnie. Tale minimo grado di
istituzionalizzazione di ciò che può essere compreso nel concetto di tenuta
di libri contabili, minimo se comparato a quello del secolo XV, lasciò perciò
il margine necessario a quel processo evolutivo nel quale i mercanti,
trovandosi di fronte a problemi concreti, individuavano nuove soluzioni e
potevano così respingere le procedure meno adatte. Se da una parte è possibile individuare un margine di
libera iniziativa che fu favorevole alla fase di sviluppo della ragioneria
connotata da un procedere per tentativi, da un’altra parte si deve
constatare che la forma usata dai mercanti per mettere per iscritto i loro
affari riceveva una forte impronta dal modo in cui veniva impiegata la
scrittura nel tardo medioevo in generale e nei comuni italiani in
particolare. Sia in contesti di uso della scrittura antichi - ad esempio
nell’impero babilonese - sia nell’impiego moderno della
scrittura, l’uso della tabella compare generalmente laddove si dimostri
utile. Nei secoli centrali del medioevo e nel tardo medioevo, invece, le
tabelle del tipo in cui il senso si chiarisce solo mettendo in relazione le
cifre o i termini disposti sulla pagina sembrano essere divenute di uso
corrente solo in alcuni campi - ad esempio i calendari. Anche le
registrazioni dei mercanti non prendono forma di tabelle ma si rivelano, ad
un esame più attento, come frasi complete opportunamente spezzate e disposte
in tre colonne, ed i conti potrebbero essere visti come testi le cui
frasi/registrazioni sono in effetti collegate attraverso congiunzioni. Ciò
non significa che i mercanti non sarebbero stati in grado di produrre delle
tabelle, se ne trovano infatti esempi fra le scritture dei mercanti.
Significa invece che l’annotare le transazioni d’affari in libri
contabili era fortemente improntato al modo in cui usualmente nel medioevo si
fissavano per iscritto le informazioni. 2)
La contabilità delle compagnie mercantili italiane consisteva già dall’inizio
del secolo XIII di un numero più o meno elevato di libri tenuti
parallelamente e intrecciati tra loro. Se si considera la contabilità come un
sistema in cui vengono fissati per iscritto dati relativi a una transazione,
in un primo momento ciascuno dei libri aperti ha, in linea di principio, pari
importanza. Si potrebbe persino arrivare a postulare che, dato
l’approccio scelto, non è il libro mastro, bensì sono i brogliacci,
cioè le Ricordanze, e i Memoriali che si basano su queste
ultime a meritare un interesse particolare. Al tempo stesso si devono
studiare i rapporti tra un libro e l’altro, cioè come e perché
registrazioni venissero riportare da un libro all’altro. Oltre alla
questione quali motivi abbiano spinto i mercanti ad aprire il singolo libro -
e senza che una questione escluda l’altra - si tratta principalmente di
cogliere la funzione di un determinato libro contabile in relazione a
ciascuno degli altri. Solo così è possibile concepire e analizzare la
contabilità italiana del tardo medio evo come forma di trattamento di
informazioni basata sull’uso della scrittura. Il metodo seguito dalla
maggior parte delle ricerche su questo campo è quello di prendere in
considerazione, in uno studio diacronico, lo sviluppo della contabilità sulla
base di frammenti risalenti ai secoli XIII e XIV o di singoli libri giunti
fino a noi, che erano parte di un complesso sistema di contabilità. Da quanto
si è detto finora risulta invece chiaro che il seguire una via diversa è, per
il presente studio, una necessità intrinseca. Invece di analizzare diacronicamente libri di diverse compagnie isolati dal
loro contesto si procede ad un’analisi sincronica possibilmente di tutte
le scritture d’affari di cui una compagnia fece uso durante un
periodo di tempo relativamente limitato per arrivare a cogliere la funzione
della contabilità. La compagnia commerciale fondata da Francesco Datini insieme a Toro di Berto nel 1367 ad Avignone e
sciolta nel 1373 può essere considerata come la prima impresa del medioevo di
cui siano conservati (quasi) tutti i libri contabili, a partire dal
brogliaccio fino al libro segreto. I 35 libri contabili della compagnia, per
i quali non fu ancora impiegato il sistema della partita doppia, possono
essere suddivisi in otto diversi tipi. Dopo una succinta descrizione generale
dell’aspetto esteriore dei libri e dei ‘commentari’ ad essi
preposti, si è proceduto a un’analisi dettagliata di un libro contabile
per ogni tipo. Laddove all’interno di un gruppo di libri contabili
dello stesso tipo vi fossero variazioni di rilievo rispetto alla struttura
‘usuale’ - come nel caso dei Memoriali - ciò è stato
tenuto presente. In totale sono stati analizzati dettagliatamente dieci dei
35 libri. Lo scopo dell’analisi era di scoprire la funzione specifica
di ogni libro partendo dalla struttura del tipo o dei tipi di conto compresi
in un libro, nonché dalla sua struttura complessiva, ma soprattutto dal
rapporto di ogni singolo libro contabile con tutti gli altri libri della
compagnia. Ad esempio, il Libro di entrata e uscita era stato
predisposto principalmente non per permettere di rilevare il fondo di cassa,
bensì per controllare gli impiegati che maneggiavano il denaro contante. L’assegnazione di determinate funzioni ai diversi
tipi di libro contabile o gruppi di libri contabili permette di trarre
indicazioni sul diverso significato che i mercanti attribuivano a tali
funzioni analizzando con quale grado di continuità ed efficienza i libri
venivano tenuti. La grande massa delle 100.000 registrazioni complessive che
furono registrate nei libri si riferisce ai conti dei creditori e soprattutto
dei debitori. I numerosi obblighi dei clienti nei confronti della compagnia,
risultanti da acquisti a credito, dovevano essere annotati in modo che
dall’eventuale dimenticanza di un debito non insorgessero perdite. Gli
acquisti a credito venivano dapprima annotati nel brogliaccio in ordine
cronologico senza distinzione dei clienti. Durante il breve periodo
dell’esistenza della compagnia commerciale i mercanti riempirono cinque
di queste Ricordanze. Poiché il mercante non poteva sapere quale
cliente sarebbe stato il prossimo ad entrare ed acquistare merci a credito,
non era possibile dare ai libri già di partenza una struttura. Diversamente
da quanto permette di fare l’elaborazione elettronica dei dati, non è
semplice riorganizzare appunti scritti in ordine cronologico in un libro
contabile. Senza una riorganizzazione, del resto, vi era rischio di una
‘perdita di dati’, e quindi di perdite finanziarie, in quanto a)
facilmente si perdevano di vista le somme ancora pendenti, una volta che si
venissero a trovare sparse tra annotazioni di crediti già cancellate; b) era
difficile raccogliere con una sola operazione tutte le annotazioni relative
ad un unico cliente. I mercanti risolvevano questo problema derivante dalla
rigidità dello strumento scrittura rivedendo a intervalli regolari il
brogliaccio e riportando i crediti e gli obblighi ancora pendenti - e solo
quelli - in un secondo libro, chiamato Memoriale. In quell’occasione
riunivano gli appunti riguardanti una persona. Solo con la trascrizione delle
informazioni ancora rilevanti nel Memoriale si riusciva ad ordinare i
dati in modo tale che il pericolo di una perdita poteva considerarsi
scongiurato. Ciò nonostante una sola trascrizione dei dati non era
sufficiente; a intervalli più lunghi anche i conti del Memoriale
dovevano essere rivisti e riportati in maniera compressa ad un terzo livello,
nel libro mastro. E’ da sottolineare che l’apertura del Memoriale
e del libro mastro non era finalizzata a produrre una base di dati per
valutare il successo finanziario della compagnia. E’ provato che anche
i libri del secondo e terzo livello , come il brogliaccio in cui confluivano
i primi appunti, avevano in primo luogo la funzione di promemoria degli
obblighi e dei crediti ancora pendenti. Data la struttura delle informazioni
da fissare e data la rigidità dello strumento usato, un unico appunto
relativo una transazione non era sufficiente ad assicurare che la contabilità
assolvesse a tale funzione di promemoria. Per poter trarre dall’analisi sincronica delle
scritture della compagnia commerciale Datini/di
Berto conclusioni sullo sviluppo diacronico della contabilità, in una seconda
fase della ricerca si sono messi a confronto i risultati ottenuti nella prima
fase e i libri contabili precedenti all’anno 1360. E’ risultato
che anche in una prospettiva diacronica si conferma che la funzione di
promemoria costituiva lo scopo principale della prima contabilità e che
perciò si deve presupporre la necessità di elaborazione degli appunti già nel
secolo XIII. La tesi centrale del lavoro è che, restando immutata la
finalità, numerose fondamentali tecniche di contabilità nacquero in un
processo di autodinamismo; il ‘contabile’
non vi contribuì che in misura minima attraverso la creazione di concetti
nuovi e di ampia portata. Egli era piuttosto costretto a reagire a
condizioni dettate dalla natura specifica dei dati e dalle esigenze dello
strumento usato. A partire da questo modello non è possibile giustificare
completamente l’invenzione della partita doppia, ma la lacuna che
rimane tra una contabilità che si evolve attraverso un processo di autodinamismo e il sistema compiuto della partita doppia
si rivela essere relativamente piccola e semplice da colmare. Il processo autodinamico di
evoluzione non ebbe come unico risultato lo sviluppo di metodi elaborati di
contabilità. Poiché l’oggetto dell’elaborazione non erano, come
si è detto, dati presentati in forma di tabelle, ma unità sintattiche
complete, il trascrivere e raggruppare le singole frasi può essere visto come
una forma rudimentale ma costantemente necessaria di interpretazione del
testo. Nell’ultimo capitolo si pone quindi la questione quali siano
state le conseguenze di una tale (quasi imposta) ‘elaborazione
testuale’ sulla mentalità dei mercanti. Il confronto tra la
disposizione delle informazioni quale si trova nei libri del secondo e terzo
livello ed il modo in cui i mercanti italiani descrivono gli eventi nel
genere letterario dei Libri di famiglia ha mostrato parallele
evidenti, che erano in parte state già messe in luce da precedenti ricerche.
Poiché però i ‘testi’ del Memoriale e del libro mastro dal
punto di vista formale sono il prodotto di un processo in cui il mercante
svolse un ruolo di partecipante piuttosto che di iniziatore, non sembra
lecito interpretare entrambi i generi testuali, libri contabili e Libri di
famiglia, alla stessa stregua come testimonianze dell’attitudine
mentale dei mercanti. E vero invece che alcuni elementi della mentalità
mercantile si formarono nella consuetudine con i libri contabili, la cui
logica i mercanti condividevano, e lasciarono poi le loro tracce nei Libri
di famiglia. Risultato della ricerca è che lo sviluppo di metodi
fondamentali di contabilità non è interpretabile come risultato di una
ricerca della soluzione migliore per il conteggio dei profitti da parte di
un’impresa, bensì come conseguenza della necessità di adattarsi alle
condizioni che la scrittura come strumento di raccolta di dati imponeva al
mercante. Sembra che nell’interazione tra utente e strumento
l’effetto della consuetudine di lavoro con i libri contabili sulla
mentalità dei mercanti sia stato maggiore che non viceversa quello di nuovi concetti
di ampio respiro sulla struttura dei libri contabili. La scrittura non appare
qui come un attrezzo che l’homo faber
utilizza secondo le sue idee, ma come un bene culturale che, pur creato
dall’uomo, nondimeno nel contesto concreto del suo uso si rivela come
elemento in grado di fornire norme e determinare procedure, guidando quindi
l’azione del suo utente. Il fatto che uno strumento sia stato creato
dall’uomo non dice nulla sul grado della sua disponibilità in una
situazione determinata. La contabilità medievale si sviluppò proprio perché i
mercanti non poterono fare a meno di adattarsi alle condizioni imposte dallo
strumento, e quindi divennero partecipi di una dinamica che portò in fine
alla creazione di metodi elaborati di contabilità. Si
può supporre che anche nell’uso concreto di strumenti moderni si
verifichino processi autodinamici nei quali è lo
strumento e non l’utente a dettare le regole. Se anche tali processi autodinamici porteranno a risultati comparabili a quelli
prodotti nel caso specifico della contabilità medievale, sarà da vedere. |
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